LA LEGGE 194


Prima del 1978 l'interruzione volontaria di gravidanza (IVG), in qualsiasi sua forma, era considerata un reato dal codice penale italiano, questo naturalmente non significava che in Italia l'aborto non venisse praticato. Succedeva spesso che donne determinate a non portare avanti una gravidanza indesiderata si affidassero a strutture clandestine o alle cosidette "mammane" che praticavano l'interruzione di gravidanza con metodi approssimativi e in condizioni spesso pericolose per la salute.
Il partito radicale, altri movimenti e forze politiche diedero vita ad una campagna di sensibilizzazione che portò il parlamento italiano a promulgare una legge, la legge 194 del 22 maggio 1978, che consentiva e regolamentava l'interruzione volontaria di gravidanza.
La legge suscitò (e continua a suscitare anche oggi) forti polemiche. Da una parte c'era chi la riteneva comunque troppo restrittiva e limitante la libertà delle donne, come il partito radicale, dall'altra chi era assolutamente contratio all'IVG come la chiesa e le associazioni cattoliche per le quali l'aborto è inammissibile in ogni sua forma.
Come spesso succede il dibattito e la polemica si spostarono dal piano etico e morale a quello politico, spesso le due fazioni alteravano o usavano in modo strumentale i dati statistici. Anche per questo motivo è difficile stabilire quali fossero esattamente le dimensioni del fenomeno degli aborti clandestini. Certo è che molte delle donne che effettuavano l'IGV illegale e che andavano incontro a delle complicazioni, non si recavano in ospedale per non essere incriminate e alcune di loro morivano per questo.

Il 17 maggio 1981, i cittadini italiani vennero chiamati a pronunciarsi sulla legge 194 con un referendum. I quesiti che chiedevano di abolire la legge 194 in realtà erano due. Uno proposto dal partito radicale che voleva appunto rendere meno restrittiva la legge ed uno proposto dall'associazione cattolica "Movimento per la vita" che aveva scopo del tutto opposto e cioè limitare il più possibile la possibilità di ricorrere all'aborto.
I cittadini italiani con una netta maggioranza (88,4 % per la proposta radicale, 68% per l'altra) rifiutarono di abrogare la legge che è rimasta fino ad oggi in vigore.

COSA DICE LA LEGGE 194 ( Vedi il testo completo della legge)

In realtà lo spirito della legge era quello di consentire alla donna la possibilità di ricorrere all'IVG, ma al contempo cercare ridurre il più possibile il numero di interruzioni di gravidanza.
Ecco cosa dice il testo del primo articolo della legge:

Articolo1
Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio.
L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite.
Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.

Nel secondo articolo la legge affida ai consultori familiari il compito di sostenere attivamente la donna che si trovi in difficoltà a causa del suo stato di gravidanza allo scopo di limitare le cause che potrebbero indurre una donna a decidere per l'IVG. Si dice anche che le strutture sanitarie possono prescrivere, se necessario, sistemi anticoncezionali a ragazze minorenni.
Ecco il testo del secondo articolo:


Articolo2
I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla
stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza:
a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi
sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro
a tutela della gestante;
c) attuando direttamente o proponendo allo ente locale competente o alle strutture sociali operanti
nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i
quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);
d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi
necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è
consentita anche ai minori.

Se, malgrado l'aiuto offerto, una donna decide comunque di ricorrere all'IVG, lo può fare entro i primi 90 giorni di gestazione. Passato tale limite si può ricorrere all'interruzione di gravidanza solo in alcuni casi:

- Quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna;
- Quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

Per quanto riguarda le ragazze minorenni o donne che siano sotto tutela e affidate ad un tutore (ad esempio nel caso di gravi deficit cognitivi), l'IVG è consentita, ma solo con il consenso dei genitori o del tutore legale.
Se però questi ultimi non esprimono un parere o, ad esempio, i due genitori esprimono un parere opposto senza trovare un accordo, è possibile ricorrere ad un giudice che "sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna, con atto non soggetto a reclamo, a decidere la interruzione della gravidanza."

La legge 194 prevede anche l'obiezione di coscienza per il personale sanitario. Cioè se un medico o un infermiere è assolutamente contrario all'aborto per motivi etici o religiosi, può rifiutarsi di eseguirlo anche se lavora in una struttura sanitaria pubblica. L'obiezione di coscienza non è ammessa quando l'intervento sia "indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo"

La legge riconosce inoltre alla donna il diritto a lasciare il bambino in affido all'ospedale per una successiva adozione, e a restare anonima.